Il nipote di Mubarak
Ognuno si sceglie i suoi modelli, i suoi maestri, i suoi riferimenti. Per carità, mica sono uno che va in giro a dire agli altri come fare. Dunque converrete con me che la scelta di questi riferimenti è paradigmatica per descrivere le persone che li adottano. Specialmente se tali modelli falliscono proprio dove proclamano di essere rivoluzionari.

Ora, immaginate di essere all'università di Architettura, e presentare un progetto con un programma fantastico, innovativo, geniale, una forma accattivante, inusuale, purista e risolutiva...sbagliando tutti i dettagli tecnici, tanto che il Revisore di Tecnologia vi dice che non può funzionare. Voi tirate dritto perché sapete "cosa è meglio" per essere un trendsetter, e infatti all'exam prendete il massimo dei voti!
In un mondo ideale ciò porterebbe a una stroncatura senza appello, ma nel mondo dell'architettura "moderna" no!
 
Guidereste voi un'auto che in foto sembra accattivante ma nella realtà è una bagnarola umida e piena di spifferi, coi freni che non funzionano e che perde olio?
Indossereste voi un vestito che nel catalogo sembra comodissimo ma in realtà è scomodo e pruriginoso, magari con le maniche fuori misura?
Mangereste voi il cibo che sulla confezione reca un'immagine che non ha nulla a che fare con il contenuto?
Beh, credetemi, c'è qualche "architetto" per cui l'abitabilità e funzionalità dell'edificio è un aspetto totalmente trascurabile, secondario, irrilevante, triviale rispetto alla sua immagine. Come se "la bellezza" fosse un elemento a sé stante, separato dalle altre caratteristiche dell'edificio, come se si trattasse di una scultura invece che di un'architettura. E poi ci sono tante persone normali che vengono attirate da queste immagini glamour, e magari nella vita reale poi si pentono di un acquisto dettato puramente da criteri estetici.
 
 
Ma facciamo un passo di lato: ve la ricordate la Villa Savoye? Certo, quella famosissima opera del grandissimo archistar Charles-Édouard Jeanneret-Gris -al secolo Le Corbusier- diventata uno degli archetipi della villa moderna (dove "moderno" sta a significare quello Stile Internazionale che è rimasto uguale da 100 anni mentre i discepoli architetti continuano a copiarselo e replicarselo l'un l'altro).  Paradigma mondiale, opera assoluta e più sublime nella sua bellezza, definita «una scatola» dal suo progettista...e inabitabile. Poi vediamo perché.
 
Scriviamolo intanto bello grosso, se a qualcuno fosse sfuggito:

INABITABILE.

 
Precisiamo che le discussioni sulla Villa Savoye sono totalmente elitiste, in quanto essa è diventata un modello esclusivamente per la borghesia suburbana villeggiante e per le discussioni da salotto degli architetti col baffetto arricciato. Non mi risulta che abbia contribuito positivamente alla risoluzione dei problemi urbani e sociali nella società del XX secolo. Per contro, il concetto che «ciò di cui ha bisogno [l'uomo moderno] è una cella monacale, bene illuminata e riscaldata, con un angolo dal quale contemplare le stelle» è a mio avviso l'embrione del "you will live in the pod". Tralasciando l'ironia sul riscaldamento, in luce dei recenti avvenimenti geopolitici che riguardano le forniture energetiche all'Europa.
 
Proseguendo sulla Villa Savoye, ricordiamo i ben noti punti programmatici dell'architettura di LeC (compilati "scientificamente", assicurò): la casa come "macchina per abitare", che avrebbe dovuto assicurare «un riparo contro il caldo, il freddo, la pioggia, i ladri, gli indiscreti».
Bene, se questi requisiti minimi, definiti dall'architetto stesso, non fossero raggiunti, dovremmo ammettere che si tratta di un progetto fallito. Una bella scultura, forse, di sicuro una pessima architettura.
Chi di meglio può fornire un resoconto del comfort e delle prestazioni garantite da questa macchina per abitare, se non i suoi proprietari e abitanti? In caso contrario sarebbe interessante capire il perché il loro parere dovrebbe valere meno di uno che passa di là a visitare la "nuova" villa (dopo tre restauri radicali che hanno anche risolto i suoi problemi...) e si esprime dicendo "che bello".
Sì, dico proprio a te, sai che sei tu.
 
Senza contare la ferocia ideologica dell'architetto, che reagì con orrore alla volontà di Madame Savoye di arredare il salotto con...una poltrona e due divani («Oggi la vita domestica è caratterizzata dalla deprolevole idea che ci servano dei mobili. Questo concetto andrebbe estirpato e sostituito da quello di attrezzatura». Lo sentite anche voi questo profumo di progresso, di TINA (there is no alternative), di moralizzazione, di educazione delle masse incolte, così diffuso ai giorni nostri? Prese forma con queste persone qui. Notate forse differenze tra questo atteggiamento e quello del modernismo sovietico, dove l'architetto decideva sul parametro dell'inesistente "uomo medio" l'esatta collocazione dell' "attrezzatura" senza possibilità di modifica?
 
 
 

 


I problemi che fanno della Villa Savoye un solenne fallimento sono scritti nero su bianco nelle lettere incartapecorite dall'umidità che l'inferocita Madame Savoye inviava continuamente all'architetto:

 
Il budget era fuori controllo, come spesso accade agli edifici "che devono essere iconici", ma ciò non impedÌ i più banali errori costruttivi e di comfort.
Una settimana dopo il trasloco si formò una crepa nella camera del figlio Roger, dalla quale entrò così tanta acqua che il giovane fu costretto a passare un anno in sanatorio: estremamente ironico se si pensa alle premesse scientiste dell'edificio come ad esempio la sua pretesa di essere una macchina modellata attorno alla sanità e alla prevenzione della tubercolosi. Sebbene non sia univocamente provato che la Villa causò la tubercolosi al ragazzo —come sembrano implicare autori come A. de Botton- il fatto che passò un anno in sanatorio per guarire e non nella Villa indica logicamente che essa non era adatta allo scopo! Come sempre accade c'è qualcuno che ha partecipato a metà lezione e ha perso un pezzo.
 
tbcsavoye
...e infatti...
«Piove nell'androne, piove sulla rampa e il muro del garage è compleamente inzuppato [...] piove ancora nel bagno, che si allaga quando c'è maltempo, per via dell'acqua che entra dalla finestra sul tetto. Anche i muri del giardiniere sono inzuppati.»
L'architetto nicchiava e giustamente ricevette un educato "non vorremmo immischiare gli avvocati":
«Dopo innumerevoli richieste da parte mia, lei ha infine ammesso che la casa da lei costruita nel 1929 è inabitabile. È sua responsabilità e non devo essere io a pagarne le conseguenze. Spero in tutta sincerità di non dover ricorrere ad un'azione legale.»
Una cosa che nessuno è mai stato in grado di spiegare fu la scelta dei serramenti in legno per le finestre a nastro da parte di LeC, che causava spifferi e infiltrazioni dovute agli assestamenti termici di infissi così grandi e continui.
 
L'ampia finestra sul tetto della camera da letto, per dirne una, produceva un rumore di pioggia battente che impediva ai proprietari di dormire (ah, se solo avesse rubato qualche soluzione di lucernario a Victor Horta!)
 
Rimangono un mistero anche altre scelte incomprensibili da parte di Le Corbusier che varrebbero la bocciatura a qualsiasi studente, come dicevamo all'inizio:
  • L'orientamento della costruzione è totalmente irrazionale e controintuitivo rispetto alle funzioni;
  • Il riscaldamento insufficiente e male posizionato rispetto alla regola d'arte;
  • Le costanti infiltrazioni di acqua attraverso varie crepe e spifferi, e il tetto (che, ricordiamo, secondo i dogmi "internazionali" deve essere piatto e comunque senza aggetti). Questo nonostante LeC avesse assicurato che sarebbe stato più economico, funzionale e di facile manutenzione;
  • L'eccessiva superficie finestrata e i materiali utilizzati donavano all'edificio una inesistente inerzia termica, trasformandolo alternativamente in una serra o una cella frigorifera.
Chi mi conosce bene sa che sono un po' metallaro, ma non disdegno nemmeno il Rap, vedete?
 
 

 
Ma com'è stato possibile che una casa inabitabile e difettosa sia diventata paradigma di migliaia di cloni di "architetti"? Un piccolo approfondimento qui di seguito:

 
La commissione arriva a LeC e suo cugino (eh già, il cugino che nessuno ringrazia!) nel 1928, i lavori cominciano nel '29 e la casa è pronta nel '31. Battendo ogni record, già nel '32 i proprietari e committenti scappano alla velocità della luce lanciando maledizioni contro il "genio" e il suo "capolavoro", e ciò mentre le foto della villa campeggiano su tutti i rotocalchi glamour.
Basterebbe questo da solo a far venire qualche dubbio e a decretare la disgrazia del progetto ma, siccome esso conteneva un programma innovativo di idee recenti e al tempo interessanti, qualcuno è disposto a passare sopra tutte le lacune dell’edificio —denunziate dalla signora Savoye in una intensa corrispondenza con l'architetto, come abbiamo visto- per ergerlo a grande ed eterno archetipo. Una leggera idealizzazione che non corrisponde alla realtà ed è tipica dei "moderni".
 
Il nostro LeC, come raccontato in varie biografie. sapeva dal direttore lavori che la sua era tecnicamente una stamberga travestita da villa, ma sapeva anche che l'immagine e il marketing hanno un grande potere, e che attraverso di essi si possono costruire grandi fortune. La posta in palio era altissima: realizzare un manifesto che sintetizzasse tutto il lavoro dei suoi predecessori da Loos in poi, per lanciare la "nuova" architettura (già vecchia di 20 anni in realtà) sotto la sua firma. La vita dei committenti pagatori nonché abitanti era l'ultimo dei problemi.
Attenzione: è giusto che sia così, che l'archetipo venga considerato tale e che gli venga attribuita la giusta importanza. Ma se una casa non funziona, non permette benessere interno e nemmeno di abitarci, signore e signori non c'è molto da discutere: si tratta di un cattivo progetto. Ripetiamolo. Una scultura, un prototipo, un tentativo, chiamatelo come vi pare, ma non è un buon progetto di architettura, non è un buon edificio. Ha sicuramente degli aspetti interessanti, altri inquietanti, altri controversi, ma un punto di vista architettonico non può prescindere dal buon funzionamento...funzionale dell'edificio, tra l'altro concepito come «una macchina per abitare». Era in realtà la versione demo con diversi bug, risolti in varie release successive. E non del tutto. Come Windows, insomma.
 
 
Secondo la ricerca degli autori Susanna Caccia e Carlo Olmo, il nostro LeC si adoperò alacremente presso l'allora ministro della Cultura francese André Malraux per far restaurare con soldi pubblici quella che nemmeno 15 anni dopo la costruzione era già una rovina. Una grande pensata visto che su di lui pendeva una diffida dei coniugi Savoye che, se trasformata in contenzioso legale, lo avrebbe incastrato a pagare di tasca propria un grosso risarcimento di 80.000 Dollari di allora. Grazie a una rete internazionale di sostenitori riesce a far passare il claim del suo prodotto, colpendo adeguatamente il target. È così che il caro Corbu viene designato dai poteri pubblici al restauro del suo stesso edificio nel 1959, e ottiene finalmente l'occasione di cambiare le carte in tavola correggendo diversi errori di progettazione (facendo finta di niente, ça va sans dire), dirigendo i lavori personalmente fino al 1965, anno della sua morte.
Altri restauri avvennero nel 1985 -20 anni dopo- e nel 1997 -dodici anni dopo il secondo- il ché indica problemi di durabilità e funzionalità della "macchina per abitare".
 
 
 
Avete letto bene: la grande icona dell'architettura è un mito costruito ex post dal marketing attorno al culto della personalità dell'architetto e sul portafogli dei coniugi Savoye, mentre LeC correggeva i suoi esperimenti via via. Corbu sapeva che era "uno di quei progetti là" (gli amici architetti capiranno) e, come un novello Palladio, si mise a riadattare il suo progetto a posteriori. Solo che Palladio trionfò nel restauro del Palazzo della Ragione trasformandolo in archetipo, mentre LeC trionfò nel far restaurare il suo archetipo dai soldi pubblici delle generazioni future.
 
Hai un bel da dire «Ripeti con me, Villa Savoye...Andrea Palladio».
 
Time scrisse nel 1935 con malcelata ironia una recensione rivelatrice sull'edificio:
«Sebbene le grandi vetrate [della villa] possano trasformare le sue stanze in serre, il suo tetto perda e le piante facciano cattivo uso dello spazio, l'architetto Le Corbusier mise nel 1923 la sua intera filosofia architettonica nella frase "una casa è una macchina in cui vivere"».
 
Alla fine si tratta di questo: un cattivo edificio —che tra l'altro contraddice talvolta i dogmi dello "stile internazionale" come i volumi collocati sul tetto come su un vassoio- invivibile e malsano, con però due altre caratteristiche fondamentali: l'immagine stilistica innovativa, che oggigiorno sa di stantìo, ma che influenzò direttamente per mezzo secolo l'immaginario collettivo, e l'ideologia politica sottostante il progetto. Questo ultimo aspetto è fondamentale nel descrivere la fenomenologia della tecnocrazia in architettura ed si palesa platealmente nel concetto di "macchina per abitare" realizzata attorno all'automobile (e non alla persona), la quale definisce i parametri fondamentali del progetto come dichiarato esplicitamente dall'architetto. Queste due caratteristiche hanno messo radici nel costruire "internazionale", negli orizzonti culturali ed estetici della gente, nelle politiche urbanistiche e vivono ancora oggi. Una tragedia.
Per questo dico che un estimatore della Villa Savoye è un estimatore dei valori e della visione dell'essere umano che essa porta con sé. I lettori abituali invece conosceranno bene i valori che Polemicarc avoca all'Arte del Costruire.
 
 
 
 
Il post potrebbe anche essere finito.

MA.

devil
Arrivati a questo punto vi starete probabilmente chiedendo come mai il titolo di questo post sia "il nipote di Mubarak", e cosa abbia a che fare con l'architettura o la Villa Savoye. È presto detto.
 
Vi ricordate della storia della nipote di Mubarak? Per gli amici stranieri, faccio un riassunto: c'era questo signore, un anziano miliardario e sex-addict, che una volta fu beccato a frequentare un giro di prostitute, e venne fuori che una di queste era minorenne. Siccome per caso era anche il Presidente del Consiglio, e quindi era a capo di una maggioranza parlamentare, ebbe un'idea brillante: far votare al parlamento una risoluzione in cui si diceva che questa ragazzina era la figlia nientemento che di Mubarak, l'allora presidente egiziano. Ovviamente la sua maggioranza rispose compatta all'appello e, magicamente, la prostituta marocchina divenne la nipote del capo di Stato egiziano ex lege. Questo per poter sfruttare diversi vantaggi collegati all'immunità diplomatica. se non ricordo male. Potere del voto!
 
berlu
 
 
Qualche "architetto" sul Tuider che si è messo a fare la stessa cosa: organizzare il sondaggino tra i propri amichetti che decreti a furor di popolo e senza appello che "la Villa Savoye è bella" (e quindi...hummm...un buon progetto).
Si tratta di un interessante s(c)orcio psico-zoologico che mi preme sottolineare in quanto rappresentativo del degrado culturale in cui versa la cosiddetta post-modernità (nota per gli pseudo-colti: "postmodernità" non è "quella cosa che ha inventato Robert Venturi" come qualche scappato di casa può credere avendo presenziato a mezza lezione di Storia dell'Architettura, bensì quel concetto ben più ampio affrontato da gente di passaggio come Fukuyama, Derrida o Bauman, di cui lo stile postmoderno in architettura è semmai sintomo ed epifenomeno. Insomma, pivelli che notoriamente vagavano nella confusione terminologica).
Si tratta semmai di collocare adeguatamente l'archetipo funzionalista della macchina Corbusieriana e la sua ammiccante compensazione estetica nell'evoluzione dell'architettura distopica che sta rapidamente prendendo le forme della smart city, della tiny house, la domotica, eccetera.
 
D'altra parte cosa vi aspettate da uno che, se dico «La Villa Savoye non piace a nessuno, solo a qualche architetto», si mette a pensare che io, architetto, implico che "gli architetti non sono persone"...e ci fa pure sopra un sondaggio in cui lui e altri intellettualoni si baciano con la lingua tra loro?
 
Per quanto riguarda la candidatura UNESCO, vorrei ricordare al lettore che UNESCO è un organo puramente politico in cui l'assemblea plenaria raggiunge un accordo dopo negoziati tra i paesi e lo Stato proponente. In sostanza un Paese potrebbe far votare qualsiasi cosa nella lista UNESCO, come potete vedere qui.
 
Comunque, non si pensi che vorrei cancellare la povera Villa Savoye: è un monumento storico all'arroganza del "modernismo" internazionale e ognuno ci vede quel che vuole: lezioni da imparare di Storia e umiltà, oppure il non plus ultra da cui ispirarsi. Vediamo oggigiorno i risultati dei due approcci, perché Architettura È Politica.
 
Fonti:
Architecture and Happiness (A. de Botton)
Le Corbusier: La Villa Savoye (Jacques Sbriglio)
The Villas of Le Corbusier 1920 1930 (Tim Benton)
La Villa Savoye. Icona, rovina e restauro (Susanna Caccia, Carlo Olmo)
 

 
 
PS:
L' "amico" non pago, continua a distribuire perle di saggezza. Toccherà fare una pagina a lui dedicata. Nel frattempo le mettiamo qui, visto che va così orgoglioso della sua cultura da campus ammmmmeregano:
 
 
 
 
 
Voilà, abbiamo veramente finito. Non diamo troppa visibilità ai pagliacci del uebbe.
 
 
 
 
Posted: 23/01/2023 21:01 — Author(s): Polemicarc

Responses

gp   15/02/2023 18:43
Grazie.
Non sono un architetto, e quello che so di questa villa lo ricordo dagli studi (superiori o medie? troppo tempo fa).
Mi ricordo che fu richiesto di realizzare delle tavole, con il professore che decantava la "visione" di quest'opera, e il genio di LeC.
Al tempo, ho apprezzato la facilità di tracciarne i contorni nelle proiezioni ortogonali.
Oggi, comprendo perché lentamente questo tipo di costruzioni mi abbia sempre più infastidito; ed è una boccata d'aria fresca avere riscontro, con dati di supporto, dell'invivibilità connessa a una certa architettura "moderna".
Questa pagina entra di diritto nella mia raccolta di munizioni d'assalto: benché non architetto, anch'io sono polemico.
E sono circondato da modernisti che escono dalle f***ute pareti.

I am not a robot
 
 
 

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