card004
polemicard master
 
[Fai click sul logo qui sopra per tornare alla sezione principale, oppure sull'anteprima per visualizzare l'ingrandimento e/o l'immagine originale da scaricare]
 

 
 04 polemicard
Michael Sorkin in Franco La Cecla «Contro l'Architettura».
 04 polemicard2
Michael Kerbow «Diminishing Returns» - olio su tela.
 

 
Qui nelle Fiandre oggi è il giorno del Wapenstilstand, cioè il giorno dell'armistizio e della fine della Seconda Guerra Mondiale per il Regno del Belgio. Mi sono alzato stamattina senza molto da fare, sorseggiavo il caffè che avevo preparato, sfogliando distrattamente il Tùiter, e mi è capitato lo sguardo su una certa citazione di M. Sorkin. Ed è subito tornato in mente il libro di Franco La Cecla «Contro l'architettura». Un libro che direi essere fondamentale per me, e che mi fu regalato tanti anni fa da mio padre.
Fondamentale, perché fornisce all'architetto (formato o aspirante tale) gli elementi per tornare coi piedi per terra, essere umile insomma. Il testo, ben scritto, in stile chiaro, fluido, articolato ma colloquiale, accompagna il lettore attraverso i ragionamenti che hanno spinto l'autore a non diventare architetto.
Già detta così suona simpatica, e infatti lo è, ma la freschezza della scrittura cela un certo rammarico e tristezza per lo stato delle cose.
 
Comunque sapevo di averlo da qualche parte, ed eccolo saltar fuori dopo qualche minuto di prospezioni minerarie nella libreria. Qui di seguito trovate dei brani del capitolo Primo, di cui fa parte anche la citazione nella cartolina. Li ho selezionati perché credo che siano molto utili come contributo alla decifrazione della contemporaneità, ben oltre i confini dell' Architettura.
Questa è Meta-Architettura: Architettura con significato politico.
Le seguenti righe inducono a riflettere su questa "modernità" di cui ci parlano sempre in ogni contesto e in ogni modo: essere a tutti i costi moderni, sempre di più. Non si può far altro che esser moderni perché il progresso è inarrestabile e ingovernabile. Succede e basta, e tu lo devi cavalcare come un surfer australiano, sennò sei un loser.
 
 diamond black
 
 
  Questi sono convinti di essere la parte cosciente della città e di ricondurla allo stato di veglia e lucidità. Ma le città sono soprattutto inconscio, "cadono" nell'inconscio ben presto, che lo si voglia o meno, ed è in questo che vengono abitate.
[...]
L'abitare è la comunicazione diretta tra l'inconscio della città e l'inconscio degli abitanti. E di nuovo torna "mente locale". Ma forse "mente locale" è ancora un'espressione che implica un certo grado di coscienza
[...]
  Gli architetti di tutto questo non hanno idea, sono convinti di mettere le mani sulla città, ma le loro opere vengono inghiottite dall'indifferenza dello shopping e dalla famelicità dell'inconscio collettivo (il che avviene raramente nel modo che gli architetti immaginano, inesperti come sono della complessità del sistema simbolico che unisce città e abitanti)
[...]
Se Koolhaas si agita furbescamente per dimostrare che bisogna essere moderni «senza farsi tanti problemi», viene da chiedersi perché essere moderni dovrebbe diventare un obiettivo. Le città non sono mai state moderne, si potrebbe dire parafrasando Bruno Latour.
[...]

 
  E se gli architetti non fossero altro che artisti? Perché imputare loro una responsabilità che non hanno? In fin dei conti, come sostiene Massimiliano Fuksas in una intervista a "la Repubblica" (del 22 gennaio 2008), il problema è politico: i politici devono combattere l'ingiustizia distributiva che affligge le città, sta ai politici affrontare l'emergenza generale in cui viviamo.
[...]
Insomma le archistar sono nient'altro che artisti al servizio dei potenti di oggi, utili a stabilire "trends",[...]messe in scena, enormi cartelloni pubblicitari accartocciati a formare musei, sedi di agenzie di comunicazione, e qualche spettacolare quartiere disneyzzato.
[...]
Perché prendersela con Frank Gehry che rilascia dichiarazioni in favore del suo miglior cliente, quello per cui progetta l'Experience Music Project di Seattle, il plurimiliardario Paul Allen della Microsoft, maggiore attore dello scandalo Enron? Quello che qui più interessa è però il nuovo tipo di artista che si incarna in personaggi come Gehry.


koolhaas fondazione prada
Rem Koolhaas/Fondazione prada, foto trovata sul sito di...BMW!
 
[...] New Ideas About Ideas (S.P White, G.P. Wright):

«In quest'epoca l'innovazione è l'unica strada per un futuro migliore e questa può arrivare solo da soggetti che sono "hot, hip, and happening", perché oggi l'artista ha più valore di un manager, per cui i business leaders devono diventare come artisti, devono guardare agli artisti come modello nella loro vita personale e professionale. Frank Gehry è l'artista che supera tutti in questa gerarchia, grazie soprattutto al suo lavoro per gente come il magnate delle assicurazioni Peter Lewis [...]»
[...]
In un'economia dello spettacolo l'artista diventa l'elemento chiave, capace di produrre quella messa in scena di cui lo spettacolo ha bisogno per andare avanti. Se è vero, come dice David Harvey, che il capitalismo è stato salvato dall'industria immobiliare, è vero anche che ci troviamo attualmente in una fase più avanzata (il libro è del 2008, n.d.r.!): oggi viene salvato dall'arte dei creativi applicata alla produzione di simulacri formali, tendenze, stili, superfici. L'archistar non lavora per la moda, diventa moda egli stesso e dunque brand, logo [...]
[...]
Altrove, Rykwert individuava la carenza dell'architettura contemporanea nell'incapacità di produrre simboli condivisi, nell'aver ridotto il sistema simbolico del mondo costruito a un grado elementare.
[...]
Insomma, il mondo come problema aveva il diritto di entrare nei salotti bene e negli studi di interni. Una classe professionale famosa per essere tanto restia alla lettura quanto proclive a sfogliare riviste aveva trovato il suo guru intellettuale (Rem Koolhaas, n.d.r.), che raccontava le tragedie in una veste patinata: tra un vaso da notte di design e un museo giapponese minimalista, scene di slum, periferie degradate, il tutto con poche didascalie, per dare l'effetto "vi facciamo vedere da una finestra com'è il mondo". Insomma lo stile reso perfetto da "Domus" nella gestione Boeri, Obrist, Koolhaas.
[...]
  Koolhaas, un uomo intelligente e cauto, in fin dei conti un progettista ambizioso, usa la vecchia arma del "siamo realisti" per convalidare lo status quo, insomma se ne lava le mani nella maniera più elegante; affermando che in fin dei conti il reale è il destino del reale, lo fissa in un quadro che gli rende comoda qualunque operazione perché la svuota di responsabilità e la sbatte sulla superficie di una estetica decadente.
[...]
  In fin dei conti Koolhaas è almeno divertente, almeno non fa i piagnistei di Fuksas e non sostiene come Gregotti e Purini che loro avevano uno spirito impegnato a sinistra quando hanno progettato lo Zen di Palermo.
[...]
Sorkin:
«[...] si occupa di vendere architettura, riducendola a puro advertising, una simpatica dimenticanza delle più ampie implicazioni della pratica architettonica. Nessuna insistenza biliosa sull'equivalenza tra marca e cultura, tra brand e cultura e sulla capacità della prima di creare identità come della seconda di consentirne la trasformazione. Perché trasformare la stessa idea di identità in brand? Perché rimpiazzare la varietà psichica, culturale e fisica delle costruzioni identitarie con un linguaggio da spot commerciale? Per controllarle, ovviamente. "Branding" è un'altra maniera del potere di assimilare e concentrare.»





 
 
 
 
 
 
Posted: 11/11/2020 07:50 — Author(s): Polemicarc

Responses

No responses yet ...
Be the first to write a response.

I am not a robot
 
 
 

Welcome on the website of the Polemical Architect.

 
[YOU ARE NOW LOADING THE ARTICLES IN ENGLISH LANGUAGE - more contents on the main site in Italian]
 
By proceeding further the user approaches a place of free speech and critical thinking, decontaminated by tracking cookies, Google Analytics and ads.
The user declares to be individually responsible of any own-generated content.
 
 
 
get in